Il Kyōgen

Il kyōgen è una delle più antiche e importanti tradizioni teatrali viventi del Giappone [risalente al XIV-XV secolo]. Il riconoscimento del suo alto valore teatrale e artistico è acquisizione assai recente, risalente solo alla metà del Novecento: “nel mezzo secolo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale il kyōgen è riuscito per la prima volta nella sua storia ‘a raggiungere il nō’”. Prima di allora, infatti, era considerato un genere minore, capace di suscitare interesse solo in funzione del suo apparentamento al teatro nō: poco più di una farsa comica utile a riempire il tempo tra un’opera e l’altra o uno stratagemma tecnico per consentire allo shite di cambiare costume tra il primo e il secondo atto di un dramma. Il carattere comico e l'accento franco e popolare, sue marche emblematiche, sono state a lungo utilizzate per motivarne la subalternità – quando non inferiorità – al colto, nobile e raffinato nō. […]

Se l’imitazione (monomane) è un tratto comune ai due generi [nō e kyōgen] gli oggetti e i soggetti dell’imitazione differiscono: dal piano aulico, ultramondano, abitato da ninfe celesti, spiriti di guerrieri valorosi, divinità maestose e dame d’ineffabile bellezza, si scivola sul terreno, prosaico mondo quotidiano perso nell’assurdità della vita ordinaria fatta di uomini, donne, animali, spiriti e divinità di dubbia grandezza e moralità. […]

Le storie portate in scena dal kyōgen sono molto semplici e basate su un plot pressoché fisso in cui il protagonista e il deuteragonista creano coppie assurde e surreali nonostante i personaggi rappresentati siano prelevati direttamente dalla quotidianità: signori arroganti e ignoranti accompagnati da servi furbi oppure tonti, giudici disonesti e ladri improbabili, mariti in cerca di avventure amorose bacchettati da consorti bisbetiche, demoni e divinità gabbati da uomini scaltri e poco inclini al sacro e, ovviamente, monaci del tutto dimentichi dei propri voti. I bisogni e gli istinti bassi che governano l'agire dell'uomo, sovente alimentati da abbondanti libagioni di sake, muovono al fondo ogni vicenda. […]

Fonte di riso sono anche il sapiente uso del meccanismo della ripetizione che si esplicita nell’allitterazione verbale e fisica, e l’effetto contrastivo provocato dalle posizioni statiche al limite dello ieratico contraddette dall’assurdità e dal ritmo della dizione: nel kyōgen “il ritmo è più veloce della vita”. […]

La scena è identica a quella del nō ma, se possibile, ancora più vuota accentrando ancor più sull’attore tutta la responsabilità dello spettacolo. Gli interpreti, sempre pochi, si suddividono in shite (protagonista), ado (primo comprimario) e koado (secondo comprimario): celebre, perché protagonista in numerose vicende, la coppia di servitori – a volte scaltri, a volte ingenui, a volte bastonati, spesso ubriachi – formata da Tarō Kaja e Jirō Kaja. Null’altro che il corpo e la voce sostengono in scena gli attori – orfani anche dell’orchestra e di ogni elemento musicale –, nessun apparato o oggetto scenografico se si escludono il ventaglio – che può immaginariamente trasformarsi in qualunque cosa – e un grande piatto grazie al quale il sake scorre a fiumi nelle avide gole dei personaggi. […]

Estratti da Matteo Casari, Kyōgen: i fondamenti teatrali del comico in Giappone, in Giovanni Azzaroni – Matteo Casari, Asia il teatro che danza, Le Lettere, Firenze, 2011, pp. 296-302.